Allenarsi al freddo comporta una serie di adattamenti sistemici importanti correlati alle temperature, fra cui una vasocostrizione periferica utile a ridurre la perdita di calore a livello degli organi interni, che fra l’altro può far nascere problematiche anche alla muscolatura superficiale. La vasocostrizione – adattamento attuato dal corpo per ridurre la dispersione termica – comporta una rimodulazione della distribuzione del flusso sanguigno nei vari distretti corporei, che viene ridotto a livello superficiale e periferico. Come effetti di questa rimodulazione, in alcune circostanze, anche alcuni distretti muscolari possono incorrere in una minore vascolarizzazione, comportando variazioni a livello metabolico e incrementando il rischio di infortuni. Conoscere questi adattamenti permette all’atleta di adottare condotte corrette, ottimizzando le condizioni di allenamento e di recupero post allenamento, massimizzando l’efficacia delle sedute anche alla variazione delle condizioni climatiche ed essendo pronto ad affrontare in competizione ogni situazione. Perché un allenamento sia efficace la fase di recupero deve essere ottimale al fine di garantire l’effetto supercompensativo che sta alla base dell’incremento della prestazione sportiva.
In sella e in acqua
Nel triathlon, in particolare nell’allenamento in bici e in acqua, la perdita di calore assume un’importanza ancora maggiore in funzione della velocità dell’aria e della capacità di dissipazione termica convettiva tipica dell’acqua. Una parte di queste problematiche può essere efficacemente controbilanciata dall’effetto termogenico dell’attività fisica, ma nella fase di recupero è importante tener conto di tutti i parametri in gioco.
L’intensità dell’attività fisica, quantificabile nella percentuale di VO2 Max, è un ulteriore parametro da tenere in considerazione dal momento che maggiore è l’intensità dell’allenamento maggiore è la capacità del corpo di mantenere alta la temperatura; di fatto in questo modo il calore prodotto supera la dispersione indotta dalla bassa temperatura ambientale.
È necessario considerare inoltre che a un’intensità di allenamento superiore corrisponde anche un dispendio energetico proporzionalmente maggiore e un aumentato stress meccanico a livello sia muscolare sia articolare, che sarebbe bene bilanciare con una corretta attività post-allenamento.
La prima cosa da fare
Una volta terminata l’attività fisica, prima di pensare al recupero della fatica o dello stress meccanico indotto dall’attività, ci si deve proteggere dalla perdita di calore. Ideale sarebbe riuscire a trasferirsi nel più breve tempo possibile in un ambiente a temperatura mite e sostituire gli abiti bagnati o umidi con altri asciutti. Questa piccola accortezza, che può suonare banale è estremamente importante perché evita che le basse temperature inducano il corpo a limitare la dispersione di calore vaso costringendo i vasi periferici e riducendo l’afflusso ematico anche a livello muscolare proprio nel momento in cui i muscoli necessitano di smaltire i cataboliti prodotti durante l’attività.
Attività fisica nella prima fase
Una volta stabilizzata la temperatura ambientale, si possono iniziare attività di defaticamento con esercizi specifici. Consiglio che gli esercizi e le esecuzioni siano individualizzati per i singoli atleti, oltre che organizzati in funzione della disciplina specifica su cui è stato focalizzato l’allenamento o se si è eseguita una simulazione di competizione. Una volta terminata la routine di defaticamento stabilita, che può durare anche solo una decina di minuti, nel caso non ci siano problematiche particolari su cui insistere, si può proseguire la fase di recupero con attività manuali o strumentali in funzione delle disponibilità e del tempo che si può impiegare.
Strumenti preziosi
Il supporto di strumenti specifici è utile per ottimizzare tempi ed efficacia. L’utilizzo della diatermia nel periodo di tempo immediatamente successivo al termine della sessione di allenamento e di defaticamento ginnastico ha notevoli vantaggi riducendo in maniera sensibile l’insorgenza dei D.O.M.S., oltre che ottimizzando la risposta metabolica locale. In questa fase l’effetto termogenico indotto dalla diatermia oltre che l’efficacia, sia in profondità sia in superfice, rappresenta una combinazione ottimale per bilanciare l’attività svolta a basse temperature.
Quindi la combinazione dell’azione biostimolante indotta dalla corrente elettrica unita a quella termica indotta grazie alle varie opzioni di modulazione rappresenta la prima scelta al fine di ottimizzare il recupero biologico e tissutale dopo un allenamento a bassa temperatura.
Un’alternativa alla diatermia è l’ultrasuono: la stimolazione ultrasonica è in grado di innescare meccanismi analoghi a livello muscolare a quelli ottenibili con la diatermia.
La differenza è che l’azione viene indotta non come effetto di una corrente elettrica, ma da una stimolazione meccanica mediata da onde sonore a elevata frequenza. L’efficacia del trattamento con ultrasuoni, infatti, non è esclusivamente sfruttabile in caso di infortunio, ma con dosaggi corretti ha effetti benefici anche a livello muscolare: la stimolazione indotta dagli ultrasuoni, agendo sulla vascolarizzazione periferica, può innescare risposte indotte meccanicamente in profondità simili a quelle che un trattamento manuale può avviare a un livello più superficiale. L’efficacia non è quantitativamente analoga a quella ottenibile con la diatermia, che ha caratteristiche differenti, ma questa differenza è in parte controbilanciata dalla portabilità dello strumento e dalla possibilità di eseguire il trattamento in autonomia, quindi anche quotidianamente.
A cura di Gianpaolo Boschetti